2005/06/27

Lettere e Documenti - Rete delle donne di Bologna

Sul Bilancio di genere trovate le lettere qui
e qui il sito dell'assemblea sul BdG

Di seguito tutte le lettere e i documenti in ordine di data decrescente:


27/6/2008

Alla presidente della 7° Commisione

Siriana Suprani

p.c. ai consiglieri della 7° commissione

al presidente della 5° commissione

UDI

Casa delle Donne per non subire violenza

Gentile Presidente,

con riferimento all'invito rivolto alla rete delle donne di Bologna di partecipare alla seduta odierna il cui ordine del giorno riguarda

1)Bilancio dell’attività dei Consultori familiari, con particolare riferimento all’applicazione della legge 194/78.

2)Trattazione dell’Odg:

“Ordine del Giorno volto a convocare con urgenza un tavolo straordinario con i rappresentanti delle associazioni, in particolare: movimenti per la vita, centri di aiuto e servizi di accoglienza per la vita, per valutare l’applicazione a livello locale della legge 194/78, con particolare riferimento alla parte preventiva, presentato dalla Consigliera Noè e altri in data 26/05/08.”

comunichiamo a Lei e alla Commissione da Lei presieduta che

non intendiamo partecipare a questa convocazione adducendo le seguenti ragioni:

1)non comprendiamo le finalità di questa convocazione che mette insieme soggettività politiche radicalmente distanti su questioni di principio che riguardano la libertà e l'autodetermiazione delle donne in materia di scelte procreative:Tali questioni, in quanto inconciliabili, non possono essere oggetto di tavoli di trattativa. Riteniamo che l’istituzione pubblica sia in grado di fornire dati relativi all’applicazione di una legge dello Stato, senza dover ricercare ragioni altre, e che la garanzia di applicazione di una legge non possa inoltre venire discussa nell'ambito della "straordinarietà", in quanto si tratta di ordinaria funzione del soggetto pubblico.

2)“ nessuno scambio politico sul corpo delle donne” non è solo uno slogan ma una pratica politica che appartiene alla quasi totalità dei movimenti delle donne che in questi anni sono scesi in piazza a difendere la 194 a partire da quella manifestazione imponente di Usciamo dal Silenzio del 14 Gennaio 2006 a Milano.

3)Dopo l'attacco pesante fatto alla libertà femminile come l'obiezione di coscienza alla prescrizione medica e addirittura alla vendita da parte dei farmacisti di un farmaco contraccettivo come la "pillola del giorno dopo", e l'aumento indiscriminato dell'obiezione di coscienza che rende sempre più faticoso l'accesso all'aborto nelle strutture pubbliche siamo consapevoli del fatto che l'attuale attacco alla 194 non si avvale e non si avvarrà di strumenti referendari ma degli anelli deboli presenti nella legge stessa, primo fra tutti quello che riguarda la prevenzione e la tutela della maternità.

4) Consapevoli del fatto che le donne hanno sempre gestito la libertà procreativa in maniera eticamente responsabile, e quindi sono soggetti morali a pieno titolo,consideriamo principio irrinunciabile la laicità delle istituzioni e delle sue leggi e siamo fermamente contrarie a riportare le donne a quel ruolo tradizionale della famiglia patriarcale che ha significato: abusi, violenze, aborto clandestino, morte.

Le donne oggi sono di nuovo unite a dire di no a tutto questo!

Siamo sempre disponibili a continuare un confronto e una pratica di relazioni con le istituzioni locali sui temi che riguardano le misure complessive che rendono disponibili e fruibili le libertà delle donne e che riguardano le politiche dell'occupazione femminile e del welfare a partire da quei luoghi di promozione della salute o di “ empowerment femminile” che sono i consultori pubblici da cui l'associazionismo deve stare rigorosamente fuori

la Rete delle Donne di Bologna

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8/03/2008


Più che mai un 8 marzo di lotta, ancora in piazza a manifestare la libertà e l'autodeterminazione di donne e lesbiche.

La Rete delle donne di Bologna vi invita a partecipare al corteo di sabato 8 marzo e alle iniziative che seguiranno in Piazza Maggiore.

Appuntamento alle ore 15.00 in Piazza XX Settembre.

Sui nostri corpi e sulle nostre vite decidiamo noi!

Contro la violenza maschile, che si esprime anche negli attacchi alla legge 194 e nella volontà politica di controllo sui corpi delle donne

Contro la precarietà dei diritti che ci rende più povere e più ricattabili.

Contro un concetto di famiglia patriarcale presentata come opzione primaria, giusta, unica e naturale, negando l’esistenza di altre forme di desiderio e sessualità fuori dalla norma eterosessuale.

Contro gli integralisti di tutte le religioni, tutti uguali nel togliere alle donne la loro libertà di scegliere.

Chiediamo il potenziamento dei consultori come servizi pubblici, laici e gratuiti, rispettosi delle scelte delle donne; campagne di informazione su contraccezione, prevenzione e salute; educazione sessuale nelle scuole; accessibilità economica e facile reperibilità di tutti i contraccettivi, compresa la pillola del giorno dopo; possibilità di ricorrere a tecniche non chirurgiche e meno invasive di aborto come la Ru486; provvedimenti volti a garantire la presenza costante di medici non obiettori in qualsiasi struttura che pratica l'interruzione volontaria di gravidanza.

NO AGLI SCAMBI POLITICI SUL CORPO DELLE DONNE!!!!

Rete delle donne di Bologna

www.retedelledonnedibologna.blogspot.com

Sabato 8 Marzo 2008

Ore 15 – Manifestazione

piazza XX Settembre

Bologna

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14/02/2008

Presidio 14/02/2008 ore 17.00 al Sant'Orsola - Difendiamo la libertà di scelta delle donne!

Care,


avrete sicuramente letto la terribile notizia del blitz della polizia al Policlinico di Napoli dovuto, dicono, alla segnalazione anonima di un infanticidio in flagranza (Art. 578 Infanticidio in condizioni di abbandono materiale e morale), risoltosi nell'ammissione di un normale aborto terapeutico, dopo lunghi e illegittimi interrogatori e sequestro del materiale biologico espulso (previo riconoscimento della "vittima" da parte della madre).


Chi ci dice che quella telefonata sia mai arrivata? Chi può dire se non fosse invece in atto un'indagine ambientale, se non vi fosse tra le corsie un poliziotto in borghese in attesa di poter punire quei pochi medici che non obiettano all'IVG? Viviamo in questi giorni un accanimento generalizzato (disumano e rabbioso) contro la libertà di scelta delle donne che si sta traducendo sempre più in violenze e ingiurie. In stigmatizzazioni senza senso e ora, addirittura, in un tentato arresto! Questo atto vigliacco risuona nella testa di tutte come un temibile avvertimento: vi puniremo, assassine! Ma noi non siamo assassine e tanto meno abbiamo paura. Siamo soltanto sempre più indignate e pronte a difendere le nostre vite, la nostra dignità di donne libere di scegliere.


E' chiaro come il protocollo firmato dai ginecologi cattolici romani sulla rianimazione del feto sia colpevole di aver creato un clima di criminalizzazione delle donne che vogliono o che sono costrette ad abortire. E' chiaro che la proposta di moratoria sull'aborto di Ferrara ha avuto echi straordinari tra gli integralisti che siedono e siederanno nel nostro parlamento. E' chiaro il servilismo del nostro ceto politico ai diktat vaticani così come pare chiaro che non possiamo accettare una campagna elettorale tutta incentrata su come stigmatizzare i nostri corpi e come limitare la nostra libertà di autodeterminazione.



Le compagne napoletane saranno giovedì 14/02/2008 alle 17.00 in presidio in Piazza Vanvitelli. Le donne in tutta la nazione stanno organizzando presidi in concomitanza con quello napoletano.



A Bologna l'appuntamento è alle 17.00 sotto l'Ospedale Sant'Orsola (Via Massarenti 9), cioè alle porte del reparto di ginecologia con il più alto numero di obiettori di coscienza, ove, insomma, il servizio pubblico non garantisce l'applicazione della Legge 194.

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3/10/2007

Libere. Parco di Villa Spada

Intervento di Barbara Mazzotti per la Rete delle donne di Bologna

Benvenute e benvenuti dalla Rete delle donne di Bologna e da Maschile Plurale.

Siamo ancora qui, ad affermare con forza e passione che la violenza contro le donne è innanzitutto volontà maschile di sopraffazione, è fondante di una cultura che ancora ci considera una proprietà o qualcosa da possedere e da contenere. Ne sono purtroppo testimoni anche quelle donne che negli ultimi giorni sono state violentate o uccise. Siamo ancora qui per essere vicine alle donne che vedono negarsi ogni giorno di più le proprie libertà. E per starci vicine, in uno di quei luoghi che non attraversiamo più se siamo sole e se fa buio. Un parco che è stato luogo di uno stupro. Un parco che è anche un luogo di memoria delle donne, che attesta la grande lotta di liberazione dall’occupazione nazi-fascista. E’ anche per loro che siamo qui, perché non dimentichiamo che una delle culture che più ha influenzato la percezione di un rapporto diseguale tra i generi nel nostro paese è proprio quella fascista. La segregazione della donna in ambiti strumentali è da sempre una pratica diffusa in quelle culture che celebrano la forza maschile e stigmatizzano il “diverso”, e che noi oggi definiamo “maciste”, riconoscendoci almeno il diritto di satira. Noi viviamo ancora in una cultura di questo genere? Noi donne veniamo ancora definite madri, spose o oggetti sessuali, invece che persone? Noi, donne e uomini che siamo qui stasera, crediamo di sì e crediamo che una società, cioè un’associazione di persone con fini comuni, non possa definirsi tale fino a che, appunto, tutte e tutti siano considerate persone e tutte e tutti abbiano almeno il fine della dignità reciproca.

Ma siamo qui soprattutto per dichiarare la nostra libertà. A fronte dell’aumento delle aggressioni per strada e della costanza ineluttabile della sopraffazione dentro le nostre case e nelle famiglie, possiamo dire stasera che non smetteremo di desiderare, di sognare, di guardare negli occhi un uomo. Ma non smetteremo nemmeno di denunciare, di difenderci, di camminare per le vie meno affollate, così come di fermarci a guardare le stelle.

E non smetteremo di lottare affinché questa cultura cambi. Non volgiamo più polizia ma più uomini consapevoli.

Saremo in piazza ancora e ancora, per ogni donna che non riesce a reagire e per quelle che ce la fanno.

Ci rivediamo il 25 Novembre, nella giornata internazionale contro la violenza alle donne. Saremo tante e tanti.

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27/06/2007
Lettera Aperta

Lettera aperta a Dora, MiGi, Maria Grazia e Raffaella e alle amiche di Arcilesbica sulle censure ai danni di mostre d’arte a Bologna.

Di Elena Del Grosso


Care amiche,

ci siamo incontrate, come Rete delle Donne di Bologna, qualche giorno fa di sera nei giardini della ex manifattura Tabacchi gestito con creatività garbo e tanta accoglienza da una di quelle associazioni di donne che in questi anni hanno contribuito a rendere vivibile questa città. Anche voi con la vostra mostra volevate dare il vostro contributo. Ve lo hanno impedito. E' vero il vostro era un contributo “di parte”, espressione della vostra soggettività come sono quelli di altre/altri che in questa città si esprimono. Ma il vostro era particolare: era un contributo “saffico”alla lettura dei testi. E non alla lettura di un testo qualsiasi ma “del testo dei testi”, quello che contiene il decalogo della legge dei padri, mito fondativo del patriarcato. Ci sono tante sacralità condivise in quel testo prima fra tutte quella del patriarcato. Per questo che il cosiddetto potere laico si accorda facilmente con quello della chiesa. Condividono lo stesso pensiero, la stessa norma, la stessa legge. Ed è questa la vera blasfemia che avete messo in campo. Care amiche, con voi non c'è solo solidarietà c'è condivisione! Non accettiamo la censura, di nessun tipo e da qualsiasi parte provenga. Da oltre trent’ anni il femminismo ha messo in moto tanta energia fantasia in azioni e pratiche politiche che non sono sicuramente le nuove sante alleanze a fermarci e riportarci nei sacri muri domestici,statisticamente, i più insicuri per la vita delle donne.

Ai poteri che governano questa città noi vorremmo dire alcune cose: la censura non sembra essere una pratica di buon governo né di un governo forte ed autorevole anzi al contrario ne dimostra tutta la debolezza prima di tutto politica. La stessa cosa dicasi sulla rinuncia alla laicità delle istituzioni pubbliche che si manifesta in modi diversi: dalla delega delle questioni, cosiddette, eticamente sensibili alla moralità inscritta nelle religioni della cui lettura si fa garante la Chiesa, alla riscoperta della blasfemia nell'arte (sicuramente cosa non nuova nella storia dell'arte, pensiamo a Caravaggio), o alla rinuncia del valore laico di pezzi di storia della città come è evidente nelle celebrazioni che la Curia cittadina ha organizzato intorno al cosiddetto Liber Paradisus, alla presenza di Comune ed Università. Questo libro ora conservato nell'archivio di Stato in piazza dei Celestini rappresenta un testo di legge in cui si proclamava la liberazione di circa 6000 servi della gleba. I soldi per tale operazione erano stati ricavati dalla confisca dei beni ecclesiastici. Questo testo in qualche modo rappresenta l'origine di una politica autonoma rispetto al potere ecclesiastico che pone in primo piano la laicità del governo della città.

Cosa succede nell'anno 2007? la chiesa riprende in mano la questione e chiama Comune e Università a discuterne.

Le gerarchie ecclesiastiche vogliono riottenere il mal tolto? Chi sono oggi i nuovi servi della gleba? Quali sono i nuovi patti?

Apparentemente questa storia sembra fuori luogo ma noi la troviamo pertinente a farci capire lo “spirito del tempo” ed il tipo d'immaginario e quindi di senso comune che si vuole costruire. Ringraziamo Anna Draghetti ad avercelo proposto. La storia ci fa capire che nuovi assi di simmetria stanno ridefinendo la nostra città così come la redistribuzione dei poteri. E questo si ripercuote sulla vita quotidiana di tutti/e.

La storia continua!

Fra i quattro notai che compilarono il libro, Rolandino de' Passeggeri scrisse che Paradiso

sta ad indicare che “Dio in Paradiso creò l'uomo in perfettissima e perpetua libertà.”

L'unica domanda che farei al notaio Rolandino:

ma le donne e le persone lgbt hanno la stessa perfettissima e perpetua libertà? Hanno cittadinanza in Paradiso?


27 giugno 2007
(Elena del Grosso per) Rete delle donne di Bologna


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9/06/2007

L’Assemblea delle Assemblee a Bologna

Report di Barbara Mazzotti per la Rete delle donne di Bologna

Il 9 giugno, da tutto il Paese, le donne si sono incontrate a Bologna. L’Assemblea delle Assemblee, indetta da Usciamo dal Silenzio ed accolta dalla Rete delle donne di Bologna, ha portato a tutte le presenti e, di riflesso, a tutte le Assemblee femminili e femministe cittadine, una grande forza. La forza del confronto e dell’accordo unanime sulla necessità di agire pratiche politiche comuni e risolutive. Quella forza che “mette radici” a partire dall’esperienza e dalle lotte locali e quotidiane, e che cresce guardando in alto, al futuro, e tutto intorno, alle donne. “Fare rete” è la modalità politica che si sta dimostrando sempre più efficace, come ha ricordato Anna Picciolini (Assemblea “Libere tutte” di Firenze) ma che deve necessariamente sapersi trasformare in progetto politico coraggioso e dirompente.

«50&50 in ogni luogo della decisione per la qualità della vita», lo slogan proposto da Bianca Pomeranzi (Casa Internazionale delle donne di Roma). La proposta di legge delle donne dell’Udi, “Norme di Democrazia Paritaria per le Assemblee Elettive”, ha accompagnato come leit motiv 7 ore di discussione. Dalle donne è emerso un ampio accordo riguardo a questa campagna e alla proposta di Lea Melandri per una grande manifestazione nazionale il prossimo autunno. Ma l’accordo sorge da due constatazioni fondamentali: la crisi politica italiana e il problema/opportunità di creare uno spazio politico autonomo delle donne. A partire dalla pratica politica non istituzionale per creare rapporti fecondi con le donne elette. Per creare la “differenza”, perché davvero “parità tra i generi” significhi cambiamento di paradigma e della qualità politica, sia a livello locale che nazionale.

Ma parità significa necessariamente laicità. Questo è ciò che è emerso dai tanti interventi sullo stato della discussione pubblica sui diritti civili, come le unioni civili, ma anche sui diritti riproduttivi, come la fecondazione assistita e sulla condizione dei servizi istituiti dalla Legge 194. La libertà delle donne è minacciata da una politica sempre più confessionale e difensiva. Difensiva di un ordine ri-costituito, che si contrappone con forza all’autodeterminazione delle persone, in ogni sua forma. Dalla legge regionale lombarda che obbliga le donne che abortiscono ad interrogarsi sulla sepoltura del feto, al depotenziamento dei consultori denunciata da Raffaella Radi dell’Assemblea di Ravenna, allo spettro dell’obiezione di coscienza dei medici, alla proposta di legge veneta sulla presenza dei “movimenti per la vita” nei consultori e negli ospedali pubblici. I principi di autonomia e responsabilità personale vengono scavalcati sistematicamente da un’etica paternalista e decisionista. Un’etica e una politica che scelgono come referente prioritario la “famiglia”, in un’accezione anacronistica, già decostruita non tanto dalla Storia, quanto dalle storie private delle tante persone che non la teorizzano, ma la praticano nelle sue differenti forme. Susanna Camusso (Usciamo dal Silenzio di Milano) denuncia la pericolosità di una politica siffatta, che finirà per imprimere indelebilmente le politiche del lavoro e della distribuzione della ricchezza. Un tema, questo, affrontato da diverse donne, come Sandra Schiassi (Rete delle donne di Bologna) che denuncia l’impoverimento delle donne, di quelle famiglie mono-genitoriali che restano fuori dal concetto di famiglia “naturale” cattolico. Un obiettivo pare farsi strada a questo punto: il bilancio di genere, come mezzo per un empowerment di genere, auspicato già dalla conferenza di Pechino del 1995. La povertà delle donne è strettamente connessa con il tema del lavoro, dal primo contratto (di una lunga serie, visto l’andamento della precarietà) alla pensione. Il tema della maternità quindi, non solo dal punto di vista delle bio-politiche, ma come diritto inalienabile e purtroppo mai così incerto e labile come oggi. Mara Nardini del Coordinamento Donne SPI CGIL denuncia l’innalzamento dell’età pensionabile e la realtà delle donne precarie, che sempre più vivono una condizione di negazione delle proprie libertà di scelta.

Le donne in assemblea hanno poi raccontato le iniziative e il lavoro di contrasto alla violenza misogina: il nodo gordiano, la mano minacciosa di una cultura spaventata dalla competenza femminile, ancora intrisa del conflitto tra generi. Una competenza che la cultura mass-mediatica sembra voler cancellare, ma che emerge trasversalmente dalla presenza femminile nell’ambito scientifico e dal lavoro di “cura”, e che lega indissolubilmente nella vita delle donne lo spazio privato con quello pubblico. Anna Nannicini (Usciamo dal silenzio di Milano) invita le donne alla “Conferenza sulla salute delle donne” a fine anno. Tutte le donne, perché lì si possa contare su un’eterogeneità di saperi che superi la formalità scientifica, comprendendola.

A fronte della forte connessione che lega la libertà femminile a tutti i temi affrontati, la proposta d’azione è unanime: visibilità. Lottare di nuovo e ancora di nuovo nelle strade e per le piazze contro l’isolamento e la solitudine. I costanti attacchi alla dignità delle donne e alla loro autonomia devono scontrarsi con le nostre risposte e con le nostre domande. E una domanda significativa è stata posta dalle ragazze della Rete delle donne di Bologna: possiamo accettare che la giustizia reintroduca il “delitto d’onore”? Il giudice che si occupa del femminicidio di Marsciano ha richiesto le analisi del Dna sul feto che la donna uccisa portava in grembo, poiché l’imputato, il marito, avrebbe agito convinto che la figlia non fosse sua. A cosa può servire l’esame del Dna se non a stabilire qualche fantomatica attenuante? Da qui la proposta: manifestiamo insieme per la dignità delle donne e contro la strumentalizzazione della libertà sessuale a movente omicida.

Sfidando il tempo che la vita odierna ruba al pensiero e all’azione politica delle donne, la priorità emersa in assemblea è chiara: riprendere lo spazio pubblico.

La piazza come luogo di lotta, e l’istituzione come spazio privilegiato per l’innovazione politica all’insegna di una democrazia davvero paritaria

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29/08/2006

Per fermare la violenza

Non passa giorno senza apprendere che una donna è stata violentata, picchiata, uccisa. Ogni volta siamo colte da rabbia, umiliazione, sensi di colpa. Ma non è più sufficiente dire “basta”, uscire dal silenzio, dare e ricevere solidarietà. Vogliamo i cambiamenti che sono necessari a fermare la violenza degli uomini sulle donne. Sappiamo che occorre riparare, là dove è possibile, là dove la violenza non conduce alla morte. Occorre prevenire; occorre modificare la cultura patriarcale che produce violenza.

Conosciamo la difficoltà che esiste a sfatare gli stereotipi
sulla violenza alle donne; tra questi se n’aggiunge uno, che vuole la violenza legata prevalentemente all’immigrazione, sappiamo che non è vero. La massima cruenza esplode tra le mura domestiche, la prima causa di morte delle donne fra i 16 e i 44 anni, è la violenza subita in famiglia. Riconosciamo, tuttavia, le profonde differenze portate da culture tradizionali e tradizionaliste, che negano la donna come soggetto. Senza il riconoscimento della libertà e della dignità della donna non è possibile convivenza.

Vogliamo costruire con le donne, italiane ed immigrate, e con gli uomini, pratiche di relazione non violenta tra i sessi, di rispetto e di riconoscimento delle donne.

Intendiamo garantire gli spazi di libertà femminile.

A Bologna ci sono luoghi e associazioni femminili che sono da tempo impegnate a ridefinire il rapporto tra i sessi e lavorano per le donne in difficoltà, a cominciare dalla Casa delle donne per non subire violenza. Sono competenze ed esperienze accumulate da tante e in tanti anni, che, purtroppo siamo continuamente costrette a rimettere in campo. Sollecitiamo la società tutta e le istituzioni a passare dall’enunciazione ai fatti, mettendo in rete azioni, esperienze e competenze, come il tavolo costituito a Bologna nei mesi scorsi, dall’Assessora alle Differenze, e non ancora operativo.

Istituzioni, servizi, strutture educative, forze dell’ordine, parti sociali, partiti politici, mass-media, donne e uomini della città, tutti si devono sentire coinvolti in un’unica forza di cambiamento. Ci sono piani d’azione differenziata; dalla complessità dell’azione educativa e i servizi di welfare adeguati, a provvedimenti semplici e tuttavia utili; come i “taxi rosa”, mezzi pubblici più efficienti, più attenzione e sensibilità alla persona e la valorizzazione dei tanti progetti e iniziative attorno alla prevenzione della violenza, promossi dalle associazioni femminili di Bologna.

Non basta la consapevolezza femminile a fermare le mani maschili che violano la mente e il corpo delle donne fino ad ucciderlo. È indispensabile che assieme alle donne anche gli uomini, singolarmente e collettivamente, si assumano la responsabilità del cambiamento, con contributi di riflessione e azione.

Dire “basta” non è sufficiente, ma è importante. Proponiamo e lavoriamo per una grande manifestazione nazionale che richiami attenzione e visibilità su questi temi.

Rete di donne di Bologna

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LETTERA ALLA GIUNTA COMUNALE

Al Sindaco

All’Assessora per le Politiche delle Differenze

Alla Giunta Comunale

Alla Commissione delle elette

Al Consiglio Comunale

La Rete di donne di Bologna è un’aggregazione informale di una decina di associazioni e gruppi di donne radicati in città, di singole, di donne elette nelle istituzioni locali, esponenti dei sindacati e dei partiti e consigliere di parità. Nata nel dicembre 2005, come coordinamento per l’autodeterminazione e la difesa della legge 194, si è consolidata attorno a iniziative per sostenere i diritti e la dignità delle donne e per difendere i loro “beni comuni”, acquisiti nello spazio pubblico della città.

Diamo un giudizio positivo del documento “Iniziative coordinate per contrastare la violenza alle donne” approvate dalla Giunta il 13 settembre 2006.

Valutiamo positivamente la volontà di coordinare e dare forza alle varie iniziative contro la violenza alle donne già in atto o in progettazione ed il coinvolgimento dei diversi assessorati, di varie istituzioni, dell’associazionismo e della società civile. Apprezziamo il riconoscimento della soggettività femminile come protagonista di iniziativa politica e suo destinatario da parte delle istituzioni.

La violenza contro le donne va assunta come priorità; le iniziative per contrastarla, per essere efficaci, devono avere continuità e durata perché sono profonde le radici che la generano. Devono saper coinvolgere l’intera città, donne e uomini; saper includere le donne immigrate e le loro aggregazioni.

Perciò chiediamo la certezza che il piano venga realizzato, che le iniziative programmate non siano sporadiche e sperimentali, ma diventino azioni che caratterizzano le politiche pubbliche.

Ciò è possibile solo se sono sorrette da adeguati finanziamenti. Il Bilancio di genere, di cui leggiamo nel Programma di mandato, ha la finalità di metterli in evidenza. Chiediamo che il bilancio del 2007 preveda una voce specifica per l’attuazione delle politiche delle differenze e che nelle voci di spesa dei singoli assessorati siano previsti stanziamenti per azioni o provvedimenti che, nell’ambito delle specifiche competenze, possano contrastare, anche indirettamente, la violenza alle donne.

Chiediamo che su questo ci sia un incontro pubblico e un’esplicita assunzione di impegno da parte del sindaco e della Giunta.

Un passo essenziale è il potenziamento dei finanziamenti alla Casa delle donne per non subire violenza. Un sostegno politico e finanziario va inoltre dato alle azioni di prevenzione mirate a modificare le culture che della violenza sono matrice. Ciò in accordo con le politiche nazionali, espresse anche nella Legge Finanziaria, nello stanziamento di 3 milioni di euro l’anno per la prevenzione e la repressione della violenza alle donne.

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8/03/2006

Le Donne in “Assemblea” a Bologna dicono alle candidate e ai candidati dell’Unione

VOLTIAMO PAGINA

La società civile di questo paese sta scendendo in piazza, da mesi, in grosse manifestazioni, a Milano, Roma e Napoli. Donne e uomini, lesbiche gay e transessuali, hanno agito nella consapevolezza dei loro diritti, primo fra tutti quello dell’autodeterminazione, con l’obiettivo comune di esprimere la pretesa ad avere uno Stato veramente laico, libero dalle ingerenze delle gerarchie vaticane e da una cultura politica neo-oscurantista che pretende di agire e di legiferare sui corpi e sulle scelte di vita di ciascuno. In questo senso si è voluto affermare una visione concreta e quotidiana della laicità dello Stato a partire dalla esigibilità e inalienabilità dei diritti.

Legge da difendere “comunque e ovunque”- Interruzione volontaria di gravidanza – legge 194.

L’autodeterminazione faceva riferimento, negli anni 70, alla libertà di abortire senza mettere a rischio salute e vita, e di usare i contraccettivi per liberare la sessualità da gravidanze non volute. Oggi ancora, chiediamo un impegno affinché le forze politiche e il Parlamento nel sostenere la piena applicazione della 194, respingano con decisione qualunque tentativo di modificare in senso restrittivo il suo impianto di tutela della libertà, della salute e, quindi, della vita delle donne. Questo anche attraverso il libero accesso alla pillola abortiva -RU486 – che ridurrebbe il trauma e l’invasività chirurgica sul corpo delle donne. Per realizzare questo basta introdurre il farmaco nella Farmacopea italiana(Registro del Farmaco)

Anche se l’aborto non è un diritto la modalità con cui una donna decide di abortire fa parte della sfera dei suoi diritti( diritto d’autonomia nella scelta terapeutica).

L’obiezione di coscienza non può essere utilizzata per ritardare o impedire l’erogazione del servizio. La 194 deve essere garantita dalla struttura pubblica

Un sostegno alla 194 richiede un potenziamento in quantità e qualità della struttura dei consultori in tutto il territorio nazionale non solo come luogo di servizi ma anche come luogo di consapevolezza femminile e maschile sul proprio corpo sessuale e riproduttivo per una genitorialità libera e responsabile

Legge da potenziare “ eccellentemente”sui consultori n405/75

Con le risorse previste dalla legge istitutiva (1 consultorio ogni 20.000 abitanti, presenza di ginecologa/o, ostetrica, psicologa/o, assistente sociale) e ponendo al centro la salute di donne e uomini, nel rispetto delle differenze culturali e di orientamento sessuale, abbiamo chiesto che i consultori siano luoghi di eccellenza per la salute delle donne e per la formazione della consapevolezza del proprio corpo in tutte le fasi della sua vita: dall’adolescenza alla riproduzione, dalla menopausa alla vecchiaia. Almeno così le donne lo avevano pensato fin dalle origini.

Un luogo pubblico laico che per le donne è anche un luogo politico. Un luogo plurale che accolga nei servizi erogati la pluralità del mondo che vi accede. Un luogo in cui i saperi diversi si confrontano e il corpo e la salute abbiano una visione più olistica e più aperta ai diversi approcci diagnostici e alle diverse possibilità terapeutiche. Un luogo de- medicalizzato, ma potenziato in un concetto più ampio di salute così come lo definisce l’Organizzazione Mondiale della Sanità: completo stato di benessere fisico psichico e sociale. Per questo, un luogo dove una donna sia accolta da un equipe di lavoro multidisciplinare, potenziato e valorizzato, con un’adeguata presenza di mediatori e mediatrici culturali ma dove l’assistente sociale assuma un ruolo centrale nell’essere il tramite tra la i servizi sanitari della ASL e quelli del comune. Dove l’integrazione tra servizi pubblici e privati così come previsto dal piano regionale e come sottolineato dalle consigliere del centro sinistra” potrebbe realizzarsi nella chiarezza dei ruoli e dei valori che ispirano un’amministrazione laica”.

Legge da cancellare o da modificare “ profondamente” - Procreazione medicalmente assistita– legge 40

La legge 40 sulla fecondazione assistita frutto di una lunga mediazione politica tra quanti pensavano di dovere regolamentare una tecnologia come quella della fecondazione in vitro in nome della salute delle donne e quanti hanno voluto cogliere questa occasione per ri-mettere sotto controllo il corpo femminile e attraverso questo, l’intera società. In questo senso questa legge è un eclatante scambio politico sul corpo delle donne.Questa legge non tutela la salute della donna e, vietando ulteriori ricerche, neanche la salute del futuro “nascituro”. La legge 40 che dovrebbe dare una risposta ha chi è sterile ci dice quali sono le condizioni in cui questa “persona sterile” deve trovarsi: non deve essere singola ma deve essere in coppia e possibilmente sposata. In questo senso la legge 40 è una legge etica che entra nel merito dei comportamenti delle persone e quindi dell’intera società. Come largamente previsto è prevedibile la legge 40 ponendo al centro il soggetto “embrione” ed escludendo la donna mostra il suo vero obiettivo: la revisione riduttiva e restrittiva della 194. E’ per questo che abbiamo chiesta e chiediamo che la legge 40 venga cancellata ma dal momento che questa possibilità appare irrealistica,( data l’attuale composizione dell’Unione) chiediamo che almeno venga “profondamente” modificata

Legge da rivedere “criticamente” - Violenza contro le donne

La violenza sulle donne continua quotidianamente in tutto il mondo, frutto di una cultura patriarcale e maschilista che vede nel dominio del corpo e della soggettività femminile l’espressione della sua piena soggettività. Almeno il 20% delle donne, a livello mondiale, ha subito abusi fisici e violenze sessuali dentro casa e fuori. Nei luoghi pubblici come in quelli privati. La violenza viene da uomini con i più diversi livelli culturali e di ogni ceto sociale.

In Italia constatiamo un aumento delle aggressioni violente e degli stupri anche legittimati da una cultura oscurantista e maschilista, che cerca di estromettere le donne da ogni luogo decisionale sempre più fuori dalla vita sociale per relegarle nell’ambito del privato. Frutto di questo “sentire comune” è la recente sentenza della corte di Cassazione in cui si dichiara che la violenza subita da una minorenne è meno grave quando questa non è più vergine. Questa sentenza è l'ultimo atto di una serie impressionante di aggressioni alla libertà e alla dignità delle donne ed è un incentivo allo stupro!

Il comune taglia i fondi alla Casa delle Donne per non subire Violenza. Un altro luogo delle Donne che viene depotenziato! Sempre a Dicembre a Bologna un altro episodio di stupro. Altri ne erano successi in quest’ultimo anno. Ma questo era diverso. Nonostante la zona fosse molto frequentata e trafficata la ragazza aveva urlato e nessuno si era fermato C’è da parte di noi donne la consapevolezza e la paura che i tagli della pubblica amministrazione e i pronunciamenti delle varie corti di Giustizia alimentino e “un sentire comune” un immaginario che giustificano gli atti di violenza quando la donna non rientra all’interno dell’ordine sociale e morale costituito.

La legge sulla violenza sessuale, anche questa non voluta dalla maggioranza di noi donne, così come la 194 così come la legge 40 ( la grande rimossa in tutte le riunioni e nel documento proposto ma che noi a Bologna vogliamo rimettere a tema) così come il rifiuto dei PACS mettono in evidenza quello che da tempo andiamo dicendo: il tentativo di normalizzazione della società secondo uno schema a pensiero unico e patriarcale.

La legge da eliminare “urgentemente” sull’affidamento condiviso( Gennaio 2006):

Il tentativo di normalizzazione che passa attraverso il controllo del corpo riproduttivo e sociale,si traduce nella pratica in alcune parole d’ordine che attengono alle politiche familistiche del programma dell’Unione ma anche alle politiche del lavoro e del wellfare. Accanto alla consapevolezza che le nuove povertà nel mondo globalizzato sono “donna” e che le vie d’uscita stanno in una visione d’insieme che investe il lavoro produttivo non meno di quello riproduttivo, le proposte che invece vengono portate avanti, anche dall’Unione, mirano ad escludere il lavoro come parte fondante della costruzione d’indentità sociale. A partire dalla difesa della vita è la famiglia il nucleo sociale e identitario. Ne viene fuori una politica tutta volta a ributtare la donna nella sfera del privato ed escluderla dalla sfera pubblica, a partire dal mondo del lavoro. Le nuove politiche del lavoro e dei tagli alla spesa pubblica lo stanno a dimostrare. Ma non solo.La legge sull’affidamento condiviso fortemente voluto dall’associazione dei padri separati in nome della tutela del minore mira a ristabilire ideologicamente il controllo del comportamento materno ed il ruolo della donna nella società. In fatti in questa legge mettendo sullo stesso piano le responsabilità di entrambi i genitori nei confronti dei figli costringe “per il bene del bambino” la coppia a superare miracolosamente e irrealisticamente quegli stessi conflitti che hanno portato alla loro separazione

Legge da fare “ Immediatamente”- Pacs e Unioni civili

La società italiana è cambiata ed è vissuta da molteplici forme di relazione. I soggetti agiscono la libertà, dando importanza all’amore e all’autoderminazione, anche quando ciò comporta disapprovazione sociale. Esistono tante coppie formate da una donna e un uomo che non scelgono il matrimonio. E sono 1.200.000 secondo l’ISTAT in Italia le coppie formate da persone dello stesso sesso. Mentre le coppie eterosessuali possono accedere al matrimonio, invece le persone dello stesso sesso quantunque” in coppia “sono costrette a vivere “da single”. Anche il programma del centrosinistra, che non ha recepito l’istituto dei PACS, promette di riconoscere non le unioni in se, ma le persone che fanno parte di unioni di fatto. Tutta una serie di diritti quindi, che attengono al riconoscimento giuridico della coppia di fatto in quanto tale, omosessuale o non,rischiano di non essere riconosciuti: successione, agevolazioni fiscali, reversibilità della pensione, e così via. Qui è in gioco la vita quotidiana e la dignità di milioni di italiani e di italiane che non hanno la fortuna di sedere nei seggi di Camera e Senato dove questi diritti vengono concessi. Uno stato veramente laico e liberale deve garantire gli stessi diritti civili e sociali ai suoi cittadini, come persone, ma anche nelle formazioni sociali delle loro relazioni.

Legge 30 – Una legge da cancellare immediatamente

Occorre avere una consapevolezza comune di ciò che è avvenuto nel corso di questi ultimi anni, ovvero un sistematico peggioramento nelle condizioni di lavoro e di vita, per le donne in relazione al mercato del lavoro, ed alla sua frantumazione.

Sia per le giovani donne che per le meno giovani, italiane o no, la precarietà si è prodotta dalla diffusione di lavori con contratti atipici, part-time,prestazioni occasionali, tempi determinati, collaborazioni a vario titolo. In tutte queste tipologie la presenza femminile è diffusa. Se accanto a queste condizioni lavorative associamo un peggioramento riduttivo dei servizi sociali( mancanza di nidi e di materne, costi delle case in affitto, difficoltà ad accedere al credito, redditi pensione spesso sotto la soglia di povertà) tutta la vulnerabilità sociale ed economica ricade sulla donna tanto che si può parlare di femminilizzazione della povertà. Le donne in difficoltà stanno aumentando (basta una separazione, un licenziamento,la perdita della casa, un adolescente in difficoltà, esclusione dai servizi sociali). Le donne in estrema povertà sono le meno protette, le più deboli da inserire nel mondo del lavoro. Occorre pertanto una profonda e coraggiosa riforma del sistema degli ammortizzatori sociali che apra a settori fin ad ora esclusi e compia una profonda opera di inclusione sociale. E’particolarmente necessario costruire politiche che ridiano dignità lavorativa e autonomia economica.

Il nodo della precarietà è ormai indissolubile legato ai temi della maternità, della nascita, della scelta “libera e consapevole”.

In questi anni e forse per altri ancora questo è il vero nodo: priorità della madre in ogni progetto di vita, autoderminazione, più risorse ai consultori e meno aborti, salute ed integrità del nostro corpo, ma prima di tutto occorre mettere al centro la precarietà, perché questo è il vero volto con il quale si presenta la mancanza di libertà, la rinuncia all’autodeterminazione, l’accettazione di ruoli predeterminati, la rinuncia della propria realizzazione professionale e personale.

Da Milano e da Napoli:

La precarietà di lavoro e di vita è il vero contraccettivo del futuro.

Donne immigrate che vivono e lavorano nel nostro paese.

Stiamo assistendo ad una situazione nella quale molte donne straniere sostituiscono le donne italiane nel lavoro di cura e di riproduzione che garantisce a molte donne italiane di essere libere ed entrare nel mondo della produzione. Questo conferma che il lavoro di riproduzione continua ad essere percepito come un carico, una responsabilità del genere femminile. Occorre tenere insieme la lettura delle condizioni di donne che, proprio perché vivono situazioni molto diverse, devono essere collegate. Inoltre occorre dare riconoscimento sociale, cioè dare visibilità, far sì che le donne che svolgono quell’attività non vengano svalutate,ma considerate valorizzate come lavoratrici a pieno titolo. Bisogna rendere visibile la lunga catena che mette in relazione le donne nel mondo attraversando confini e continenti attorno al lavoro di riproduzione. E’ necessario esplicitare questa condizione e prendere coscienza che il superamento della povertà, della precarietà e delle condizioni di esclusione e marginalizzazione del lavoro delle donne può avere una via d’uscita se affrontato in termini globali e con prospettiva di genere.

La cittadinanza non è solo avere dei diritti, ma anche renderli esigibili e poterli esercitare. Dobbiamo impedire che in nome della flessibilità vengano legittimate prestazioni lavorative non rispettose dei diritti della persona, della donna; così come occorre definire norme che garantiscano una equa retribuzione correlata alle esperienze lavorative (l’affermazione della parità sostanziale di trattamento a parità di prestazione).

Le nostre proposte:

1) ridurre in modo sostanziale le forme di contratto di lavoro precario,

2) adottare modalità che evitino la precarizzazione della vita privata, dare continuità e progressione a profili di carriera,

3) applicazione e sostegno alle legge 53/2000 sui congedi parentali

4) occorre considerare centrale il rapporto di lavoro a tempo indeterminato,

5) formazione continua e mirata

6) occorre operare per valorizzare gli spazi di autonomia individuale, per diversificare le prestazioni, ma anche in relazione ai bisogni ed alle prospettive ed esigenze delle lavoratrici,

7) politiche sociali e non solo economiche per donne in estrema povertà/esclusione sociale