2007/07/02

Lettera Aperta

Lettera aperta a

Dora, MiGi, Maria Grazia e Raffaella

e alle amiche di Arcilesbica



Care amiche,

ci siamo incontrate, come Rete delle Donne di Bologna, qualche giorno fa di sera nei giardini della ex manifattura Tabacchi gestito con creatività garbo e tanta accoglienza da una di quelle associazioni di donne che in questi anni hanno contribuito a rendere vivibile questa città.

Anche voi con la vostra mostra volevate dare il vostro contributo. Ve lo hanno impedito

E' vero il vostro era un contributo “di parte”, espressione della vostra soggettività come sono quelli di altre/altri che in questa città si esprimono.

Ma il vostro era particolare: era un contributo “saffico”alla lettura dei testi.

E non alla lettura di un testo qualsiasi ma “del testo dei testi”, quello che contiene il decalogo della legge dei padri, mito fondativo del patriarcato.

Ci sono tante sacralità condivise in quel testo prima fra tutte quella del patriarcato.

Per questo che il cosiddetto potere laico si accorda facilmente con quello della chiesa.

Condividono lo stesso pensiero, la stessa norma, la stessa legge.

Ed è questa la vera blasfemia che avete messo in campo.

Care amiche, con voi non c'è solo solidarietà c'è condivisione!

Non accettiamo la censura, di nessun tipo e da qualsiasi parte provenga.

Da oltre trent’ anni il femminismo ha messo in moto tanta energia fantasia in azioni e pratiche politiche che non sono sicuramente le nuove sante alleanze a fermarci e riportarci nei sacri muri domestici,statisticamente, i più insicuri per la vita delle donne.

Ai poteri che governano questa città noi vorremmo dire alcune cose: la censura non sembra essere una pratica di buon governo né di un governo forte ed autorevole anzi al contrario ne dimostra tutta la debolezza prima di tutto politica. La stessa cosa dicasi sulla rinuncia alla laicità delle istituzioni pubbliche che si manifesta in modi diversi: dalla delega delle questioni, cosiddette, eticamente sensibili alla moralità inscritta nelle religioni della cui lettura si fa garante la Chiesa, alla riscoperta della blasfemia nell'arte (sicuramente cosa non nuova nella storia dell'arte, pensiamo a Caravaggio), o alla rinuncia del valore laico di pezzi di storia della città come è evidente nelle celebrazioni che la Curia cittadina ha organizzato intorno al cosiddetto Liber Paradisus, alla presenza di Comune ed Università. Questo libro ora conservato nell'archivio di Stato in piazza dei Celestini rappresenta un testo di legge in cui si proclamava la liberazione di circa 6000 servi della gleba. I soldi per tale operazione erano stati ricavati dalla confisca dei beni ecclesiastici. Questo testo in qualche modo rappresenta l'origine di una politica autonoma rispetto al potere ecclesiastico che pone in primo piano la laicità del governo della città.

Cosa succede nell'anno 2007? la chiesa riprende in mano la questione e chiama Comune e Università a discuterne.

Le gerarchie ecclesiastiche vogliono riottenere il mal tolto? Chi sono oggi i nuovi servi della gleba? Quali sono i nuovi patti?

Apparentemente questa storia sembra fuori luogo ma noi la troviamo pertinente a farci capire lo “spirito del tempo” ed il tipo d'immaginario e quindi di senso comune che si vuole costruire. Ringraziamo Anna Draghetti ad avercelo proposto. La storia ci fa capire che nuovi assi di simmetria stanno ridefinendo la nostra città così come la redistribuzione dei poteri. E questo si ripercuote sulla vita quotidiana di tutti/e.

La storia continua!

Fra i quattro notai che compilarono il libro, Rolandino de' Passeggeri scrisse che Paradiso

sta ad indicare che “Dio in Paradiso creò l'uomo in perfettissima e perpetua libertà.”

L'unica domanda che farei al notaio Rolandino:

ma le donne e le persone lgbt hanno la stessa perfettissima e perpetua libertà? Hanno cittadinanza in Paradiso?



27 giugno 2007

(Elena del Grosso per) Rete delle donne di Bologna

1 commento:

Anonimo ha detto...

good start