Una legge da cambiare: non considera la donna soggetto di diritto
• da Liberazione del 22 febbraio 2007
di Marina Pasqua
Il disegno di legge governativo sulla violenza contro le donne, approvato dal Consiglio dei ministri il 22 dicembre scorso, delude ed esige una azione forte da parte delle/dei parlamentari. Più volte preannunciato dalla ministra Barbara Pollastrini, nella versione che arriva alle Camere modifica alcune fattispecie di reati, ne introduce delle nuove e compie una rapida incursione nell'universo dei centri antiviolenza, senza accordare agli stessi il promesso riconoscimento.
La prima riflessione è che, forse, a forza di "concertare", si è persa di vista la donna come soggetto di diritto considerata invece soggetto debole con anziani e bambini. La proposta governativa è frutto di un lavoro comune tra ministero della Famiglia, ministero della Giustizia, ministero delle Pari opportunità e della Solidarietà sociale. Ne scaturisce una tutela dei diritti umani in generale, l'assenza di una lettura di genere, l'ambiguità forte di alcuni interventi, volti a contemperare esigenze incompatibili tra loro. La centralità accordata alla famiglia è infatti incompatibile con una seria lotta contro la violenza di genere. Nell'art. 8 si parla di ricomposizione familiare come una delle prestazioni che si dovrebbe fornire in favore delle vittime di reati tra cui i maltrattamenti in famiglia. Ciò oltre ad essere abominevole, disconosce la realtà. Le donne che si rivolgono ai centri antiviolenza non vogliono ricomporre la famiglia. Vogliono salvare la propria vita, la propria incolumità e vogliono tornare ad essere libere.
L'impianto prevalentemente repressivo del ddl andrebbe sostituito con una visione che "sessui" maggiormente il diritto penale laddove interviene in questa materia. Norme che contengano inequivocabili dichiarazioni di intenti, sulla scia della legge contro la violenza di genere in vigore in Spagna, era quanto la Ministra ci aveva promesso durante la giornata parlamentare contro la
violenza di genere svoltasi a Roma il 23 novembre 2006. Invece questo disegno di legge non mette in primo piano la violenza di genere ma parla di violenza in generale. Fondamentale, perciò, sarebbe separare con chiarezza la violenza di genere e la violenza domestica da quella dovuta a discriminazioni sessuali, e non perché, naturalmente, il tema non ci sia caro ma perché confonde i piani e rende l'intervento neutro. Maggiori approfondimenti esigono, poi, ì singoli
interventi legislativi con riferimento ad alcune ipotesi di reato. E', ad esempio, certamente positivo che venga riconosciuto il fenomeno dello stalking (art. 13 "Atti persecutori"). Significa sancire l'esistenza di una nuova fattispecie di reato che chi lavora nei centri antiviolenza conosce bene. Tuttavia è errato inserire questa norma - così come pensato dal ddl - nel codice penale dopo il reato di minacce, perché l'esperienza ci insegna che, a volte, lo stalking è prodromico all'omicidio. Più opportuno, allora, sarebbe collocare lo stalking dopo la violenza privata (art. 610 c,p.}, uno dei reati, insieme a quello di molestie, peraltro, ai quali attualmente le condotte di
stalking sono ricondotte in assenza di una specifica previsione normativa.
Riguardo al reato di maltrattamenti in famiglia che diverrebbe per l'art.10 del ddl "maltrattamenti contro familiari e conviventi", è importante che finalmente si scriva che il maltrattamento in famiglia è anche quello commesso in danno della/del convivente, ma andrebbe inserito che i maltrattamenti si protraggono anche dopo la fine del matrimonio o della convivenza. Nell'art. 12 poi si introducono modifiche al reato di violenza sessuale. La legge 96/66 è una buona legge, esito di anni di battaglie. Ogni rimaneggiamento impone massima cautela. Già oggi si prevede, all'art 609 bis co. 3 del codice penale, che "nei casi di minore gravita" la pena venga diminuita. Il disegno di legge introduce gli elementi da valutare per riconoscere la "minore gravita" e tra questi "le condizioni psicofisiche della vittima". Il rischio è che si consentano, nei Tribunali, domande odiose e dettagliate alla persona offesa, domande che il venir meno della differenza tra violenza carnale e atti di libidine violenti avevano temperato, anche qui grazie all'esito di infinite, splendide battaglie.
E andiamo, per finire, ai centri antiviolenza. Il disegno di legge li nomina in due norme all'art. 7 e all'art. 19. Con ilprimo si introduce un "Registro dei centri antiviolenza", con il secondo si parla di "Intervento in giudizio".
Quanto ai registri, occorrerebbe dire che i centri sono quelli gestiti da associazioni e cooperative di donne, e indicare le linee-guida alle quali le realtà esistenti hanno finora aderito, liberandoci così dalle insidie di possibili brame di appropriazione dei centri antiviolenza da parte di soggetti che mai hanno inteso occuparsi di violenza di genere. L'art. 19, infine, prevede l'intervento in giudizio degli enti locali e dei centri antiviolenza ma non la loro costituzione di parte civile.
Il nostro codice di procedura penale, all'art. 91, prevede l'istituto dell'intervento, che è diverso dalla costituzione di parte civile previsto, invece, dall'art. 76 dello stesso codice. Per legge, in Italia, esiste la possibilità di costituzione di parte civile di associazioni quali - ad esempio - quelle ambientaliste o antiusura ma non delle associazioni di donne. Quella dei centri antiviolenza avviene, quotidianamente, a sostegno della donna che ha subito violenza e con il suo consenso. Ma avviene grazie alla prassi giurisprudenziale. E la giurisprudenza, si sa, è mutevole. La nuova legge dovrebbe introdurre questa possibilità non limitandosi - come previsto dal ddl - al solo intervento che è meramente simbolico. Il venir meno della possibilità di costituirsi parte civile dei centri indebolirebbe le donne in giudizio. Il dire che il danno arrecato a quella donna è danno arrecato a tutte le donne è sentimento politico appreso dall'esperienza dei collettivi femministi degli anni 70. Chi non ricorda "Processo per stupro"? Chi non ricorda come trattavano le donne in giudizio? I collettivi femministi fecero allora il loro ingresso nelle aule di giustizia, si costituirono parte civile. Oggi, nelle aule, ci vanno i centri antiviolenza, che oltre ad assistere la donna che si costituisce parte civile, con il suo consenso, stanno al suo fianco in giudizio, parte civile anch'essi. Se passa il ddl, i centri potranno solo intervenite a fianco della donna, con un arretramento giuridico e politico spaventoso. Il danno arrecato a quella donna, non sarà più il danno arrecato a tutte le donne. E' una presa di distanza: io, noi, non siamo ferite come te. Non siamo danneggiate come te,con te. "Interveniamo" solo al tuo fianco.
1 commento:
Pesta la moglie.....
Dopo anni di vessazioni celate tra le mura domestiche è finito in manette......
L'uomo stato arrestato dai carabinieri.....
...lesioni personali volontarie aggravate...
...nei confronti della moglie...
I militari sono intervenuti... in seguito alla richiesta di aiuto...da parte.. figli... minor...
Più volte ha minacciato la moglie di morte...
Così inizia un articolo che dovrebbe segnare la fine di un incubo...la fine...
In realtà questo è solo l'inizio di un altro incubo per molte donne che si vedono quasi negati i diritti che le spettano, e questo solo perchè sono mogli.
Comincia un viaggio nei gironi dell'inferno burocratico.
Vieni sbattuta da un avvocato ad un altro, nessuno ha voglia di impelagarsi in una tale bega.
Finalmente ne trovi una che ti da un po di speranza, badate speranza ma nessuna certezza.
Ti dici finalmente un'avvocatessa cazzuta!
Ma...
Bisogna fare....per ottenere...per ora solo fumo.
Passano i giorni, diventano mesi...
Ti aspetti aiuto dalle istituzioni. ma prima si deve fare...i fondi per ora non sono sufficienti...
Hai paura non sai quando l'orco uscirà di prigione, ma tu non hai diritto di sapere nemmeno quando sarai di nuovo un bersaglio vivente.
Intanto tu ti devi prendere cura dei figli, devi pagare le bollette, devi fare i conti con tutti i casini economici che ti ha lasciato, ma tutti ti dicono che devi aspettare...
Ma come aspettare?
E i figli che mangiano? L'affitto, le bollette e la spesa chi le paga?
Perchè uno stipendio non basta per viverci in tre persone.
Telefoni, rompi le scatole, ma bisogna aspettare perchè i tempi sono lunghi...
Ci sono associazioni che aiutano è vero. ma per ottenere aiuto devi essere in emergenza.
Traduco per chi non lo sapesse, le associazioni intervengono solo se sei in pericolo, ossia se ti sta minacciando, o peggio pestando di nuovo...
Ma chi lo sapeva già sa che anche le forze dell'ordine intervengono solo se lo colgono sul fatto,
perchè la legge italiana non arresta un orco che picchia e maltratta una moglie se non lo vede...
Mi chiedo come è possibile che in uno stato come il nostro, dove si riconoscono diritti a tutti, vengano negati i diritti ad una donna solo perchè è una moglie?
Non parliamo poi dei cosiddetti servizi sociali, loro dopo mesi ancora non sono intervenuti...
Due minori, una moglie, un orco...
E quello che sembrano chiedersi tutti è : perchè è ancora dentro?
PERCHE'?
Nessuno si domanda ma quella donna come sta tirando avanti?
E i minori come stanno?
E, domanda mai fatta da nessuno, la moglie come sta portando avanti i figli?
Mi fa incazzare sapere che le donne che si trovano in questa realtà in Italia sono davvero tantissime, molte di più di quello che si potrebbe credere.
Stanno cambiando le leggi è vero, ma ancora la situazione è tragica.
Mi spiace non ho trovato le risposte ai molti quesiti che ho posto, come credo che non le abbiano trovate le molte donne che si trovano in una situazione simile, e il senso d'impotenza è grande....Ma se hai un pizzico di fortuna incontri sul tuo cammino qualcuno in grado di darti speranza, e la spinta giusta per cambiare la direzione della tua vita, e decidi di partire per un'avventura.......
Grazie per essere al mio fianco...........Ti voglio bene.
vanilla{P}
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